Norme tecniche per le costruzioni: collaudo statico finale o in corso d’opera?

Norme tecniche per le costruzioni: collaudo statico finale o in corso d’opera?

Il collaudatore che ricerca nelle norme “la possibilità” di eseguire il collaudo staticosoltanto a costruzione completata è fuori strada; così come è fuori strada colui che viceversa ricerca nelle norme “l’obbligo” di eseguirlo in corso d’opera; sbagliano entrambi, perché non hanno compreso appieno il significato delle operazioni di collaudo, per come sono definite nell’attuale assetto normativo.

Ma facciamo un passo indietro. Il collaudatore assume i precisi compiti e le responsabilità indicati nel capitolo 9 delle attuali Norme tecniche per le costruzioni (DM 14/01/2008): deve attuare ispezioni e controlli per garantire il rispetto delle procedure previste dalle leggi che disciplinano le opere strutturali e il rispetto delle prescrizioni e dei livelli di prestazione previsti dalle norme tecniche stesse; egli deve inoltre confrontare il progetto depositato con quanto costruito in cantiere. In particolare, il collaudatore deve esaminare il progetto dell’opera, l’impostazione generale della progettazione nei suoi aspetti strutturale, geotecnico e di durabilità, gli schemi di calcolo e le azioni considerate; egli deve accertare la presenza della documentazione prevista dalla legge in merito al deposito delle pratiche strutturali e deve inoltre assicurarsi che il direttore dei lavori faccia rispettare quanto contenuto nel progetto delle strutture e che metta in atto tutti i controlli di accettazione dei materiali e ne raccolga tutte le certificazioni.

È bene sottolineare che la formazione del convincimento del collaudatore sulla bontà delle opere (da intendersi appunto quale “definizione” della collaudabilità delle opere) non può derivare soltanto dalle sue personali capacità ed esperienze, ma deve risultare esplicitamente dalla maggiore o minore aderenza del progetto e dell’esecuzione ai diversi aspetti strutturali indicati precisamente nelle norme.

A differenza del progettista e del direttore dei lavori, che nell’assumere le responsabilità professionali che la legge obbligatoriamente gli attribuisce, sono supportati dalla loro personale convinzione in merito alla bontà della loro capacità e alla forza della loro esperienza, il collaudatore è obbligato dalla legge ad assumersi responsabilità ben precise, che non possono assolutamente poggiare soltanto sulle ipotetiche “buona capacità ed esperienza” del progettista e del direttore dei lavori, ma devono rifarsi, in ultima analisi, alla bontà del progetto e alla bontà delle procedure di realizzazione, in funzione come detto della coerenza o meno alle prescrizioni normative.

Il collaudatore svolge principalmente un ruolo con “obbligazione di mezzi”; la sua responsabilità, cioè, è legata direttamente alla diligenza con la quale conduce il suo operato: egli deve necessariamente utilizzare tutti i mezzi a sua disposizione per individuare errori od omissioni nell’elaborato progettuale e per prevenire le possibili carenze nelle disposizioni impartite dal direttore lavori o nella mancanza di adeguate certificazioni sui materiali e sui prodotti impiegati nella realizzazione delle opere.

Ciò premesso, appare evidente, innanzi tutto, che dovendo il collaudatore esaminare il progetto delle strutture, non avrebbe alcun senso che la eventuale messa in discussione di alcune impostazioni progettuali avvenisse al termine della realizzazione delle opere. È chiaro che, di fronte ad un’obbligazione di mezzi così precisa, il collaudatore non ha scelta: deve esprimere fin da subito il suo parere sulla collaudabilità dell’opera (come sopra definita dalle norme vigenti) per consentire eventuali modifiche al progetto. E se tale parere non viene espresso nella fase iniziale (cioè in corso d’opera), deve intendersi che il collaudatore ha accettato l’impostazione progettuale e la completezza e la correttezza degli elaborati grafici e della relazione di calcolo, così come previsto dalle norme tecniche vigenti.

Per quanto riguarda la bontà del progetto, il collaudatore incaricato potrebbe pertanto decidere autonomamente in quale momento temporale intervenire (se in corso d’opera oppure al termine della costruzione), ma si assumerà direttamente il rischio della sua scelta, non potendo “aggiustare” eventuali mancanze progettuali a opere ultimate.

Per ciò che attiene alla realizzazione dell’opera, vale lo stesso principio: il collaudatore potrebbe decidere autonomamente se il controllo della bontà delle operazioni svolte dal direttore dei lavori, quanto a disposizioni esecutive di cantiere e quanto ad accettazione dei materiali, possa avvenire al termine della costruzione, oppure debba avvenire in corso d’opera ma dovrà comunque in ultima analisi dimostrare di aver fatto il possibile per prevenire errori od omissioni nell’esecuzione.

Le norme tecniche vigenti (DM 14/01/2008) stabiliscono che “il collaudo statico, tranne casi particolari, va eseguito in corso d’opera quando vengono posti in opera elementi strutturali non più ispezionabili, controllabili e collaudabili a seguito del proseguire della costruzione”. Nella nuova versione delle norme (approvate il 14/11/2014, ma non ancora in vigore al momento della stesura del presente documento) tale periodo viene sostituito con il seguente: “il collaudo statico, tranne casi particolari, va eseguito in corso d’opera”. In sostanza, anche questa modifica suggerisce che l’opzione di eseguire il collaudo “in corso d’opera”, oppure “finale”, non fa riferimento al tipo di intervento (più o meno ispezionabile, più o meno complesso), ma è una scelta a priori del collaudatore, il quale quindi, tranne nei “casi particolari” da lui stesso individuati, interviene fin da subito per evitare che con il progredire della costruzione gli sia impedito il corretto modo di operare, sulla base dei compiti e delle responsabilità che le norme gli attribuiscono.

Ecco che la scelta di eseguire il collaudo statico in sede di sopralluogo finale oppure durante il procedere della costruzione, dipende esclusivamente dal collaudatore stesso: dipende cioè da quali siano gli aspetti strutturali della costruzione della cui precisa aderenza alle norme ritiene di poter essere certo a priori, e da quali siano gli aspetti viceversa sui quali ritiene di dover intervenire prima che sia troppo tardi. È evidente pertanto, che avendo ricordato il significato delle operazioni di collaudo e avendo chiarito che il collaudatore non può dare per scontate le capacità professionali e le esperienze del progettista e del direttore dei lavori, la strada maestra rimane in tutti i casi quella del collaudo “in corso d’opera”, con la specificazione che, nei casi ritenuti meno complessi dal collaudatore stesso, le operazioni in corso d’opera saranno assai semplici e veloci, fino ad arrivare a considerarsi assolte implicitamente nei casi estremi, e non perché questo sia previsto dalle regole vigenti, ma soltanto perché il collaudatore si assume i rischi di “non aderenza” alle norme, dopo averli implicitamente valutati.

È bene ricordare che, nell’assetto normativo che disciplina le opere strutturali, la previsione del “collaudo statico” è di fondamentale importanza, e sostanzialmente rappresenta un elemento di valorizzazione della professione dello strutturista: in un periodo come quello attuale, dove sempre più doveri e responsabilità vengono fatti confluire in capo ai professionisti, la possibilità di trovare nelle operazioni di collaudo un favorevole deterrente per evitare la cattiva realizzazione delle opere e per valorizzare al contempo il lavoro del professionista, dovrebbe essere da tutti pienamente apprezzata. E il fatto che le norme impongono le procedure di collaudo in modo cogente, dovrebbe costituire un grande vantaggio per tutti i professionisti interessati; viceversa, spesso gli stessi professionisti tendono a relegare le procedure di collaudo al rango di assolvimento di obblighi formali e burocratici.

Le operazioni di collaudo statico in corso d’opera, se eseguite con la dovuta indipendenza del professionista collaudatore, dovrebbero essere viste come un elemento premiante per chi esegue bene il proprio lavoro (e che vorrebbe che anche gli altri lo eseguissero allo stesso modo), per chi ha approfondito le tematiche strutturali e le norme tecniche, per chi non può abbassare il livello del suo lavoro al di sotto di determinati standard qualitativi, per chi nelle attuali condizioni di libero mercato non si può permettere (facendo bene il suo lavoro) di stare al di sotto di certi valori di compenso professionale. A parere di chi scrive, quindi, la strada giusta da percorrere, non dovrebbe essere quella di ritornare alle anacronistiche “tariffe minime”, bensì quella di valorizzare l’indipendenza del professionista collaudatore, imponendo criteri di nomina più adeguati al suo ruolo (ad esempio, sempre attraverso terna di nominativi) e stabilendo criteri di validazione delle procedure di collaudo con il supporto degli ordini professionali.

 

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